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Siate ProntiIl regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora. Matteo 25, 1-13 Abbiamo ascoltato inviti alla festa, l’attesa gioiosa di un matrimonio, di uno sposo; l’eccitazione felice delle giovani attorno alla sposa. Ma, al tempo stesso, questa parabola di Gesù è una parabola di giudizio e si presenta a noi in modo controverso. Ci chiediamo: nel giorno in cui facciamo memoria della morte, nel 1942 ad Auschwitz, di Edith Stein, abbiamo bisogno di una porta che si chiude e di un Cristo che esclude? Prendiamo dunque le distanze da questo testo? Noi, che speriamo nella salvezza per tutti al di là degli steccati confessionali, come leggiamo questo testo provocatorio? C’è la questione dell’olio, che alcune hanno in misura adeguata e altre insufficiente. E’ forse un’immagine della fede? Direi di no, se la fede è un dono di Dio e anche se ci ricordiamo che le parabole sono racconti che vogliono suscitare un’emozione, una domanda, e non metafore esatte o allegoriche. Ognuna delle giovani ha le risorse per sé, ma ciò che le accomuna è l’attesa del momento della festa. Come in altri testi profetici, il momento della festa diventa tempo di giudizio. E questo rovesciamento ci porta a fare alcune considerazioni. In primo luogo, ricordiamoci che non siamo noi lo sposo (Cristo) che arriva e chiude la porta, ma siamo piuttosto le giovani donne in attesa. Non dobbiamo sostituirci a chi deve arrivare, ma invece prendere sul serio la componente escatologica del giudizio. Tutto si gioca nell’attesa, eppure tutto si chiude quando arriva lo sposo. Certo, in passato, tutti erano molto più certi del giudizio e indicavano con forza chi stava dentro o fuori dal portone della festa: Lutero e il papa, barbetti e papisti. Oggi, non per buonismo, ma per la nostra conoscenza di quanta violenza porta con sé l’arroganza religiosa, noi prendiamo le distanze da questo divino giudicante. E al tempo stesso sappiamo che c’è un giudizio su di noi. Un giudizio sulla mancata accoglienza, un giudizio su questa economia di rapina, un giudizio sul nostro sfruttamento del pianeta. La porta chiusa è già in ciò che viviamo, nella paura che ci opprime, nel disastro ambientale, nella violenza che esplode nelle relazioni tra uomini e donne. Sappiamo vederlo maggiormente nel passato, la Shoah, meno in ciò che siamo oggi. D’altra parte la nostra parabola affianca altri detti di Gesù sull’ultimo giorno, detti in cui, a volte, il giudizio è dovuto al cattivo comportamento, a volte solo al trovarsi in un luogo o in un altro [cfr. Mt 24,40: “Allora due saranno nel campo: l’uno sarà preso, l’altro lasciato. Due donne macineranno al mulino: l’una sarà presa e l’altra lasciata”]. La conseguenza è una sola: “Siate pronti”. E non conta neppure vegliare con atteggiamento ascetico che rinnega la materialità della vita. Infatti, tutte e dieci le giovani sonnecchiano, tanto le avvedute quanto le stolte. Allora, che cosa significa “essere pronti”?. Essere pronti non sarà, forse, intraprendere quella relazione con Dio che fa dire al Cristo “vi conosco, entrate con me”? Ma il movimento va da Cristo a noi. Pensiamoci: se le cinque senza più olio non si fossero fatte prendere dal panico e dall’ansia di prestazione, non sarebbero entrate con lo sposo? Infatti, di quale creatura il Signore può dire: “io non ti conosco”? Dio è l’immensamente lontano e intimamente vicino. Così comprendiamo un po’ meglio il testo: c’è un giudizio, ma non sta a noi esprimerlo. C’è un essere pronti che forse è solo lasciar fare a Dio, come afferma Lutero, poiché noi siamo sempre mendicanti, e la luce la riceviamo da Dio più che portarla noi. Possiamo evitare di fare gli errori delle dieci vergini, di dare consigli sbagliati basati su ciò che sappiamo di noi e non dell’altra, di andarcene per ansia a cercare delle risorse spirituali, quando si tratta di avere fiducia. Soprattutto possiamo e dobbiamo evitare di farci paladini di un divino che chiude le porte invece di aprirle. E questo anche pensando a Edith Stein. Avremmo meno persone come lei da piangere, meno annegati nel canale di Sicilia. Avremmo un mondo senza armi nucleari e senza la minaccia di usarle. Quando viene lo sposo deve essere una festa e non una strage! Attendere e vegliare, con o senza lampade, ma con la fiducia che quella porta si apre, è uno degli obiettivi del popolo ecumenico. Un movimento che non allontani nessuno dalla venuta di Cristo, che non faccia credere a nessuno di non essere bene accetto, ma vegli e preghi perché la misericordia di Dio crei un mondo aperto e tollerante già nel tempo non breve dell’attesa che ci troviamo a vivere. Pastora Letizia Tomassone Predicazione del 9 agosto 2017 durante la liturgia al Monastero di Camaldoli per la festa in memoria di Edith Stein
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Ultimo aggiornamento: 9 Settembre 2017 ©Chiesa Evangelica Valdese di Firenze |